“Non saprei di cosa parlare… Della morte o dell’amore? O magari è lo stesso?” Comincia con un interrogativo aperto, la cui risposta, se esiste, è il senso stesso della vita, uno dei libri imprescindibili del Novecento, Preghiera per Cernobyl, di Svetlana Aleksievič, Premio Nobel per la letteratura del 2015. Uscito sul finire del Novecento – 1997 – Preghiera per Cernobyl ha la forza del reportage e la ferocia dell’inchiesta, l’incisività del documento, l’autenticità della voce dei protagonisti. È al tempo stesso “romanzo corale”, testimonianza e prova di una tragedia del progresso e quindi dell’umanità intera, racconto epico di una terra, resoconto rigoroso di un disastro, poema in grado di far rivivere i sentimenti, gli umori, le atmosfere dello scoppio della centrale nucleare e della fine di un sistema politico e ideologico insieme.
Non è tutto. Preghiera per Cernobyl è anche il modello di un nuovo genere letterario, nel quale la realtà è il contenuto fondamentale della trama, costituita di testimonianze, interviste, monologhi. Un genere che l’Autrice riconduce ad Ales’ Adamovič, autore bielorusso che lei indica come il principale Maestro, e che è stato definito come “romanzo-oratorio”, “romanzo- testimonianza”, “prosa epico-corale”. Infatti, Preghiera è un testo nel quale i materiali autentici – fonti, documenti, testimonianze, interviste – appartengono al genere giornalistico e vengono assemblati dall’Autrice in una prosa che trasforma la materia, il contenuto, in un coro tragico, in una voce, che è costituita di tante voci, che supplicano e si interrogano, in una narrazione capace di condurre il lettore esattamente alla notte del 26 aprile del 1986 davanti alla quarta unità della centrale elettronucleare di Cernobyl e di fargli vivere - come esperienza “reale” e autentica – quanto successe all’indomani del più grande disastro atomico del dopoguerra. O meglio, del Novecento, se si escludono le esplosioni successive della centrale giapponese di Fukushima del 2011.
Chi scrive ha ricordato la lezione del correlativo oggettivo di Eliot, recuperato dal nostro Montale: sono gli “ingredienti” capaci di restituire le emozioni, il vissuto del fatto, dell’episodio.
“Questo libro – scrive infatti l’Autrice – non parla di Cernobyl in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire che cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone, che hanno taccato con mano l’ignoto. Il mistero.” Ciò che i fatti non includono, ma che ne costituiscono l’impalcatura, le fondamenta.
Con Preghiera c’è anche la voce di una terra che diventa protagonista e che si costituisce dei tanti testimoni, abitanti, protagonisti durante e dopo il disastro e che danno viso, corpo, umori e odori alla tragedia.
Altra grande novità della scrittrice e giornalista Aleksievič è di avere elevato i generi giornalistici dell’intervista e del documento a genere letterario. Inoltre, l’Autrice ha stravolto radicalmente il concetto stesso di romanzo storico per affermare con forza il bisogno di un romanzo vero, lontano dal “verosimile” e quindi autentico, che faccia della grande storia e delle piccole storie i tasselli della propria narrazione, lasciando all’Autore lo spazio di sistemazione, di assemblaggio degli stessi nuclei di realtà. In questo modo il racconto diventa un documento di verità, come lo è stato Storia di una colonna infame, nel quale i documenti si fanno ricostruzione processuale e atto d’accusa verso un’epoca e un’umanità impaurita e ignorante. Così in Preghiera l’atto d’accusa è verso l’era atomica e un progresso che fa delle armi di distruzione di massa il proprio perfezionamento.
Cernobyl, scrive l’Autrice a commento del suo romanzo, “cambiò il mondo. Cambiò il nemico. La morte ebbe facce nuove che non conoscevamo ancora. Non si vedeva, la morte, non si toccava, non aveva odore. Mancavano persino le parole per raccontare della gente che aveva paura dell’acqua, della terra, dei fiori, degli alberi. Perché niente di simile era mai accaduto, prima.”
Una riflessione lucida che, a distanza di quindici anni, la porta ad affermare: “Pensavo di avere scritto del passato. Invece era il futuro.”
Preghiera per Cernobyl oggi più che mai è uno di quei testi chiave del nostro futuro e del nostro martoriato presente.