Leggere Quel che affidiamo al vento aiuta ad affrontare la vita e a coglierne la forza e la capacità di superare ogni dolore. Cosa c’è di più doloroso di perdere un affetto, una figlia, una madre, una moglie, quando a provocare la morte è un evento ineluttabile, come lo tsunami del 2011?
E come non riconoscere nell’ineluttabilità la categoria cui appartiene anche la pandemia da Covid che ha travolto, e travolge, l’umanità intera?
Laura Imai Messina, con sensibilità, delicatezza e rigore – doti straordinarie nella sua scrittura, - si addentra nella ferita più dolorosa dell’uomo, il lutto, e l’accarezza, l’osserva senza giudizio, consegnandoci una storia di rinascita e di bellezza. E lo fa trasformando il suo racconto in una vicenda emblematica sull’inesorabilità delle catastrofi (come lo tsunami del 2011) e sulla inesauribile forza della solidarietà, delle relazioni e dell’amore di superare lutti, ferite, squassi.
Ogni elemento del romanzo è all’apparenza semplice, ma nella sua semplicità “apparente” risiede la forza stessa della storia, e per questo diventa simbolo dell’inevitabilità di ogni tragedia che l’uomo, sin dal suo affacciarsi nel mondo, fronteggia e supera grazie alla sua umanità e, in Quel che affidiamo al vento, grazie anche all’amore.
Poche informazioni sulla trama, per non perdere il gusto di leggerlo.
La narrazione si svolge in Giappone all’indomani dello tsunami del 2011 – di cui poco e male i media occidentali hanno parlato. Yui ha perso madre e figlia, Takeshi la moglie. I due si conoscono a Bell Gardia (il Telefono del Vento), luogo reale a cui il romanzo si ispira e che si trova sulla montagna della Balena. Il telefono del vento nel racconto diventa il simbolo del legame tra vivi e morti, e inoltre diventa il luogo della catarsi, dell’atto pubblico che ci collega con i nostri defunti per parlare, porgere domande mai pronunciate, chiacchiere mai completate, e persino recriminare e arrabbiarsi con loro.
Ciò che davvero colpisce è la forza di una scrittura che esige la riflessione, il passo più lento per permettere di cogliere la profondità del gesto, della riflessione, dello sguardo. Come se a cadenzare gli eventi fosse proprio il vento, travolgente da creare l’onda disastrosa dello tsunami, lieve da accarezzare i volti dei protagonisti, e di nuovo impetuoso al punto di spazzare via angosce e paure (lutti, persino) che ci imprigionano e ci conduca alla rinascita, alla nuova vita.
La sensazione che ho avuto, infatti, è che a guidare la mano capace di Imai Messina sia davvero il vento e nel vento si racchiudano i simboli, le risposte, l’emblema stesso della capacità dell’uomo di andare avanti e superare dolori, lutti, ferite e godere della vita, degli incontri, dello stare insieme.
Mai un aggettivo di troppo, mai una parola stonata, domina la chiarezza e la forza del diamante, che brilla sui personaggi e sulla trama. Basta sfogliare a caso il romanzo ed estrapolare qualche riflessione. Come queste, sull’amore, che l’Autrice non edulcora, ma racconta con rigore chirurgico.
“L’amore, - insegna Laura Imai Messina, - è come la terapia, funziona solo quando ci credi”. “Ma soprattutto”, gli fece eco lei, “solo quando ti senti pronto a lavorarci.”
Quel che affidiamo al venti, Laura Imai Messina, Piemme (2020). Da leggere!