Sillabe di vita, sillabe di linguaggio. Ripartire con Sillabari di Parise

Unico nel suo genere, straordinario per lucidità e per progetto editoriale, I Sillabari di Goffredo Parise è un’opera che ha sempre tanto da insegnare sia per il linguaggio, la scrittura come lavoro attento sulla parola, sia per temi, vale a dire contenuto e argomento, spazio e luogo della narrativa. Sillabari è un testo che andrebbe letto, specie di questi tempi, che, per chi scrive, sono un’opportunità da cogliere per porre le basi di una nuova partenza, di una rinascita, di una ripresa. E perché allora non partire, anzi “ri-partire” con la letteratura e con il linguaggio?

Per meglio comprenderne l'importanza è bene fare un passo indietro e collocarci nel contesto storico in cui nacquero i racconti, o micro-racconti, o poesie in prosa come li definisce lo stesso Parise. Ciò aiuta a trovare analogie e consonanze con l’oggi e a fare piazza pulita di tanti eccessi.

Gli anni dei Sillabari sono di forte contestazione politica, tanto che lo stesso autore, per scelta di tema e linguaggio, viene tacciato d’essere un reazionario e perciò costretto a difendersi motivando le sue stesse scelte.

“Il libro – scrive – nasce così: negli anni tra il ’68 e il ’70, in piena contestazione ideologica, in tempi così politicizzati, udivo una gran quantità di parole che si definiscono comunemente difficili. Difficili anche a pronunciarle. Ad esempio: rivoluzionarizzare. Ecco non diceva niente.”

Di qui, secondo l’Autore, la necessità di tornare alla semplificazione e alla semplicità, a un linguaggio che sia davvero referenziale e capace di restituire gli oggetti, i dati, la realtà stessa, di “guardare le cose della vita e i dettagli di queste cose”, precisa Parise. “Sentivo una grande necessità di parole semplici” sottolinea.

Il linguaggio semplice, la lingua essenziale, la semplicità capace di raccontare i sentimenti, ma che non si trasforma in sentimentale o meglio, si direbbe oggi, non degenera nei sentimentalismi. In sintesi, la semplicità come capacità della lingua stessa di raccontare.

Dal linguaggio alla seconda eredità dei Sillabari: il contenuto. I temi affrontati sono appunto i sentimenti, perché “i sentimenti degli uomini – ci ricorda Parise – sono eterni”, mentre le ideologie passano. Entrambe le scelte – di linguaggio e di contenuto, di forma e di sostanza -, sono scelte che bollano lo scrittore vicentino di essere un conservatore, o peggio, come si diceva, un reazionario. Almeno di esserlo rispetto ai tempi in cui ogni azione è politica, mentre Parise evita di entrare nell’agone. Anzi, si direbbe che si discosta dai dibattiti, si metta a margine della scena, scantoni la partecipazione politica a suo dire per una sorta di “pigrizia”. O forse, ipotizzo, per una forte sensibilità verso ciò che è moto dell’animo e una distanza – idiosincrasia sarebbe troppo - dagli argomenti politici.

Lungo queste due direttive – di lingua forte e di temi del “sentire” -, nasce la raccolta dei Sillabari, che a loro volta furono pubblicati in due riprese. I primi 22 racconti - dalla A di Amore alla F di Famiglia, escono per Feltrinelli nel ‘72, dieci anni dopo, invece, esce per Mondadori Sillabario 2 – da Felicità a Solitudine, per confluire nell’84 in un’unica raccolta, Sillabari dalla A alla S, per un totale di 54 racconti.

Si tratta di un progetto ideale, che lo stesso Parise giustifica nella “Avvertenza alla raccolta”. “Dodici anni fa - scrive - giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.”

La vita, l’amore, i sentimenti sono i temi che affronta, perché convinto di vivere in un tempo in cui odio e amore sono maneggiati con così tanta libertà da dimostrare, al contrario, una aperta impotenza nei loro confronti. Sono le incandescenze dell’animo, ci dice Parise, che possono essere descritti attraverso i fatti, le disposizioni, i guizzi del pensiero. I sentimenti come “un modo nobile della conoscenza, non razionale, né cerebrale”, ma appunto intuitivo, quasi primigenio dei moti dello spirito, e pertanto capaci di riferire il disordine della vita, il suo vitalistico divenire, la sua legge interna. Al sentimento, dunque, il compito di fissare gli attimi del nostro vivere.

Di qui racconti fulminei, essenziali, vicini all’apologo, alla novella, alla favola, alle operette morali, agli idilli anche, o più ancora a “poesie in prosa”. Fulminei nella trama, così scarna e così densa di accadimenti, i personaggi, a tratti tipi indicati con parole comuni e pertanto generiche – un uomo, il bambino, la madre – arricchiti con similitudini animali – rise nel suo modo di lince, con i suoi denti di un biancore di volpe – essenziali nei tempi e nei luoghi.

Si leggano gli incipit – paralleli tra un racconto e l’altro – “Un mattino presto  d’inverno” (Bambino); “Il primo agosto una donna” (Ingenuità) – seguiti subito dai protagonisti, posto subito in rilievo, alla geografia, che invece riporta ai luoghi di Parisi: città o luoghi di villeggiatura dello scrittore (Vicenza, Venezia, Roma, Cortina…) o scorci di periferie e campagne già note dai precedenti romanzi dell’autore.

I 54 racconti sono “un libro che non assomiglia a nessun altro”, come ha scritto Cesare Garboli, lontani da modelli, da classificazioni, ma necessari ieri come oggi per meglio cogliere la nostra contemporaneità, la nostra incapacità di relazione, e soprattutto le derive del linguaggio a cui ancora siamo soggetti.

“Così come il linguaggio è la vita – ripeteva Parise. con vari e multiformi “gradi” di lettura e di interpretazione […] Non solo il linguaggio, ma anche la vita ha molti gradi di lettura, alcuni elementari e quasi animali, altri più alti, altri ancora, elevati, altri ancora elevatissimi. La vita non si vive soltanto, si lavora, è un lavoro, parallelo alle nostre occupazioni. Ha i suoi tempi, la sua lingua, le sue armonie, le sue pause, i suoi punti e punti e virgola, e a capo.”

Autore: Elena Pigozzi

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